EVA DUARTE, ZARRA E UNA COPPA A BILBAO

Articolo pubblicato da Igor Santos Salazar su www.losotros18.com il 20 novembre 2019 e disposibile in castellano sul blog Zurigorri 100% Athletic Club , pubblicato il 6 dicembre 2024


Molte cose sono cambiate, penso mentre mi siedo sul muretto da cui osservo il sinuoso percorso del fiume che muove lungo le rive di San Ignacio fino a quando la vista si perde oltre la punta del monte Serantes. Questo campo non è il vecchio San Mamés e, per fortuna, questa città, industriale e operaia, non è più quella con i diritti negati, con "le signore con il libro della messa in mano e un velo in testa", espressione coniata di Camilo José Cela nel suo viaggio letterario tra il Miño e il Bidasoa.

Eppure, ci sono molte cose che restano immutate, come questo campo da calcio, che non è più il vecchio San Mamés ma è ancora la casa dell'Athletic; come questa pioggia, che il vento spinge da Olabeaga. Una giornata bilbaina, come l'Athletic. Una giornata tanto scomoda come il nome inciso su una coppa vinta dai biancorossi, esposta nella teca dei trofei che risplende nel museo situato nelle viscere di questo stadio che, senza esserlo, è rimasto uguale. Da quando sono uscito dalle sue stanze e sono arrivato all'angolo da cui il San Mamés guarda verso il mare, che si percepisce oltre il corso d'acqua del Nervión, continuo a pensare a Lei. Sia alla coppa sia al suo nome: Eva Duarte.


I trofei ufficiali al museo dell'Athletic Ph: Athletic Club - museoa


È necessario tornare a quella Bilbao in bianco e nero, nel dopoguerra, nella repressione e nel calcio giocato nel fango per comprendere il contesto in cui nacque l'idea di disputare una competizione intitolata a un personaggio complesso come Evita, moglie del generale argentino Juan Domingo Perón. È necessario ritornare all’anno 1946, attraversando la pioggia e il tempo, a quell’Europa distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale e ai suoi equilibri diabolici, dettati dalla realpolitik di una falsa pace, che inaugurò tensioni tra regimi totalitari, populisti e democrazie imperfette. Era il periodo in cui la sconfitta dell'Asse lasciava il dittatore Franco in una posizione scomoda, arroccato in una partita a scacchi che vedeva le potenze vincitrici del conflitto mondiale imporre le proprie agende politiche. La Spagna di Franco rimase senza alleati importanti, perdendo l’appoggio del fascismo italiano e il nazionalsocialismo tedesco, lo specchio in cui poteva riflettersi mostrava solo la rovina e la fame a cui un gruppo di assassini l'aveva condannata dopo la vittoria nella sua "crociata".

A quei tempi Madrid sapeva appena della presenza di ambasciatori stranieri e delle timide misure adottate, come l'abbandono del saluto fascista o un'amnistia molto parziale per i prigionieri politici (come muta il significato di certe parole nel nostro presente infantile...), che non avrebbero avuto l'effetto sperato. I rapporti del regime con le altre potenze non esistevano: le Nazioni Unite avevano decretato nel dicembre 1946 di escludere la Spagna dalle organizzazioni internazionali.

Fu quello l'anno in cui la figura di Perón apparve sull'orizzonte del franchismo come un'ancora di salvezza: il generale argentino era stato eletto presidente a febbraio e il suo ambasciatore all'ONU votò contro quella stessa risoluzione che, a dicembre, aveva escluso la Spagna, giustamente, di sedersi al tavolo con le altre nazioni. L’Argentina guidava un piccolo gruppo di sei paesi iberoamericani, che comprendeva anche Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Perù e Repubblica Dominicana. Il governo illegittimo spagnolo si aggrappò a quell’asse con la disperazione dei naufraghi. Dall’Argentina peronista (il primo paese che si rifiutò di sostenere il complotto internazionale nelle parole del Noticiarios y Documentales, “NO-DO”) si potrebbero ottenere risorse e aiuti fondamentali per affrontare uno dei momenti più difficili del regime. Inoltre, l’Argentina rafforzerebbe anche la retorica della razza, della “scoperta” dell’America e della madrepatria. Un’opportunità che non poteva essere sprecata. Quest'atmosfera di nazionalismo allucinato, con un odore di sagrestia e di grandezza imperiale scaduta, con un sinistro orizzonte di povertà e baracche, avrebbe trovato in Eva Duarte la migliore interlocutrice. Per fare questo, la moglie di Perón intraprese un viaggio in Europa, con prima tappa in Spagna, nelle ultime settimane della primavera del 1947.

Il NO-DO immortala nel suo cinegiornale le immagini della primera dama, arrivata a Madrid l'8 giugno 1947. Nella retorica in bianco e nero del cinegiornale, si vede Evita camminare accompagnata dalle gerarchie della Spagna nazional-cattolica. Il contrasto tra la donna minuta, quasi una star di Hollywood, e i soldati fantoccio e i prelati che la scortano è la quintessenza di una tragedia.


LA COPA EVA DUARTE

La trasferta spagnola di Evita lascerà il segno anche nel mondo del calcio. Duarte aveva donato alla Federcalcio spagnola il trofeo che avrebbe premiato la squadra che avrebbe vinto uno scontro tra l’undici campione di Liga e quello campione della Coppa. Per ragioni logistiche, la prima edizione della "Coppa Duarte” non vide la luce fino al giugno 1948, con l’affermazione del Real Madrid sul Valencia per 3-1. Ma l'unione tra politica e calcio, tra propaganda e rapporti ispano-argentini, aveva già avuto un precedente nella stagione 1945/46, prima che Eva Perón fosse insignita dell'onorificenza di capo di Stato, quando l'ambasciatore americano del paese e la federazione catalana organizzarono la Coppa d'Oro Argentina, che si sarebbe giocata tra Barcellona e Athletic, rispettivamente i campioni di Liga e di Coppa della stagione 1944/45. Il 23 dicembre 1945, il club blaugrana alzò la coppa d'oro dopo aver sconfitto i rojiblancos per 5-4.


La Copa Eva Duarte


L'Athletic non avrebbe più partecipato a questa sorta di antenata dell'attuale Supercoppa fino al 1950, quando riuscì a raggiungere la finale di un titolo così carico di retorica politica come campione di Coppa della stagione 1949/50. Rivedere le vecchie pagine dei giornali di quei giorni significa entrare nella pancia di un Paese dominato dalla propaganda nazional-cattolica. La Gaceta del Norte riferì dell'incontro su un giornale pieno di retorica indigesta del 12 ottobre e, il giorno dopo, affiancò la cronaca di una finale di straordinaria emozione a un articolo intitolato “Consiglio del generale Perón”, che comprendeva il discorso del presidente argentino ai delegati dei Giochi Panamericani. Tutta la pagina era, quindi, tra Perón ed Evita, nel riconoscimento del fondamentale aiuto argentino che ricevette in quel momento una Spagna prostrata.


12 OTTOBRE 1950: UNA REAZIONE FORMIDABILE

Anche la scelta del giorno in cui si è giocata la finale non è stata casuale. Il 12 ottobre, come già detto, era il “día de la raza” (il giorno della razza). Una festa istituita nel 1918 (il regime franchista non si è inventato nulla) sottolineava con maggiore clamore la volontà propagandistica esistente (ieri come oggi) per l'organizzazione di un evento calcistico. Quel giorno d'autunno l'Athletic e l'Atlético di Madrid si affrontarono a Chamartín. La partita era iniziata male per i bilbaini. Al 32' l'Athletic era in svantaggio per 3-0 (due gol di Pérez-Payá e uno di Mascaró). Con un magnifico secondo tempo, la squadra basca riuscì a pareggiare i conti grazie ai gol di Venancio, Iriondo e Gárate, che con il loro gol erano riusciti a raggiungere gli avversari a soli cinque minuti dalla fine della partita. I supplementari avrebbero regalato emozioni ancora più grandi. Al gol di Zarra, l'Atlético rispose con la tripletta di Pérez-Payá. Venancio, con il suo secondo gol, portava il punteggio sul 5-4 per l’Athletic, mentre al 108' Juncosa siglava il definitivo 5-5. Il sesto gol dell'Atlético, realizzato da Carlsson, veniva annullato per fuorigioco mentre calava la notte su Madrid, quando era oramai impossibile vedere qualcosa su un campo senza illuminazione artificiale. Manuel Serdán, editorialista de La Gaceta del Norte, non risparmiò aggettivi per descrivere la partita: «colossale, con emozioni straordinarie e con giocate superbe». Inoltre, il suo racconto elogia il carattere della squadra di Bilbao: «solo una squadra è in grado di ottenere queste reazioni, ed è l'Atlético de Bilbao». Anche l'edizione madrilena di ABC mise in risalto la bellezza della partita.

Il pareggio, in un mondo senza rigori, costrinse a una ripetizione della finale che fu giocata nuovamente a Madrid il primo novembre. Il giorno dopo, La Gaceta del Norte apriva la sua edizione dedicando le sette colonne della prima pagina al dogma dell'Assunzione della Vergine, proclamato il giorno prima da Papa Pio XII. In basso, un quadratino con lo scudo dell’Athletic e il non meno dogmatico ¡Alirón! Aliron! informava il lettore bilbaino della ripetizione della finale.


ATHLETIC 2 - ATLETICO 0. RIPETIZIONE E TRIONFO

Ancora Madrid, ancora Chamartín teatro della finale. Lezama, Canito, Berasaluce, Nando, Manolín, Garay, Iriondo, Venancio, Zarra, Gaínza e Artetxe (quest’ultimo in sostituzione di Gárate che aveva giocato nella partita di ottobre) formavano gli undici scelti da Iraragorri nel secondo capitolo di una finale infinita. Per gli amanti del calcio in generale, e dell'Athletic in particolare, questa è la formazione che più volte è stata ricordata, sussurrata, desiderata, sospirata e recitata nella storia del Botxo, soprattutto da quell’Iriondo-Venancio-Zarra-Gaínza di immortale memoria. Nella partita di Chamartín mancava solo Panizo (infortunato) in quella che è ricordata dai tifosi come la segunda delantera histórica dell'Athletic, capace di regalare 847 gol per i Zurigorri.

La partita, meno spettacolare della precedente, si è risolta con una doppietta di Zarra e una prestazione sensazionale del portiere Lezama, capace di parare un rigore all'Atlético nella ripresa, quando il tabellone già indicava il 2-0 finale. Il giornalista di ABC dedicò alla squadra allenata da Iraragorri alcune righe che potrebbero servire a descrivere una partita attuale della squadra di Muniain, Williams o Raul García: «i ragazzi della squadra basca non sono invincibili; ma è necessario molto impegno per superare il loro entusiasmo». Allo stesso modo, la cronaca ricorda che l'Atlético, per evitare confusione con la maglia dell'Athletic, quel giorno indossò una casacca di colore rosso. Il rosso era ancora un tabù in un Paese che aveva ancora bisogno del grano e del mais argentino per non soccombere alla fame.

Dopo la partita, il capitano dell'Athletic salì sul palco presidenziale per ricevere il trofeo, consegnato, in assenza dell'ambasciatore argentino, dal segretario generale dell'ambasciata argentina. Ancora una volta in quella coppa si incontrarono tutti gli interessi politici e simbolici della Spagna franchista.


Il segretario generale dell'ambasciata argentina, Napoleone García, consegna a Piru Gainza la coppa Eva Duarte.


Nonostante la Coppa Eva Duarte vinta nell'autunno del 1950 dall'Athletic sia oggi esposta nella teca del suo museo e che la stessa squadra di Bilbao includa ufficialmente questo titolo nel suo palmares (così come la Federazione spagnola), questa coppa occupa un posto molto secondario nella memoria collettiva dei biancorossi. È interessante però ricordare la sua presenza e, soprattutto, il contesto politico in cui fu forgiato e giocato quel trofeo per comprendere un momento triste della nostra storia. La Coppa Eva Duarte venne giocata fino al 1952, anno della morte della sua “madrina”. Solo tre anni dopo, nel 1955, la Spagna fu ammessa da un’ONU sempre più distaccata dai suoi ideali fondazionali. La Guerra Fredda offrirà anche un altro aiuto al regime franchista: il presidente degli Stati Uniti visitò Madrid nel 1959 e indicò la Spagna come un alleato fondamentale in senso anticomunista.

Una coppa e il ricordo di una donna non servivano più agli interessi del regime...

Tuttavia, quella stessa coppa dimostrò che non fu sempre così. Ci insegna che c'è stato un tempo in cui il regime franchista era isolato. A Barcellona, Madrid, Bilbao e Valencia, il riflesso di quel trofeo restituisce, a chi lo voglia guardare, l'immagine di una Spagna soffocata, in cui i gol di Zarra erano, per i tifosi dell'Athletic, l'ossigeno che il vento trasportava sopra il fiume che scorre ancora, come allora, ai piedi di un campo che, come oggi, continua a ricordare Mamés, santo tra i leoni.


Autore: Igor Santos Salazar