Io sono un duro, non sono cattivo
L'articolo e' stato pubblicato sulla pagina FB Euskal Futbola - il Calcio Basco il 19 novembre 2023
Nel mondo sportivo e soprattutto negli sport di squadra, c’è praticamente sempre un giocatore tra le fila degli avversari che sta particolarmente antipatico perché è un duro e viene quindi facile definirlo picchiatore, scorretto, sporco. Di esempi ce ne sono tantissimi e, per rimanere sul calcio italico, quanti non sopportavano Gattuso e Materazzi prima del 2006? Durante la Coppa del Mondo eravamo però a celebrarli come campioni e, in quel momento, eravamo altrettanto pronti a perdonandogli qualsiasi intervento “al limite” o che andasse pure oltre. Nel calcio spagnolo degli anni '80, il nemico giurato di qualsiasi tifoso non dell'Athletic era Andoni Goikoetzea Olaskoaga, amichevolmente Goiko. Difensore duro e rude come pochi, non indietreggiava mai dinanzi alle difficoltà e anzi, avanzava. Avanzava dalla retroguardia così tanto da segnare ben 44 gol nei 12 anni trascorsi nell’Athletic, in 369 apparizioni tra tutte le competizioni, praticamente uno ogni 8 partite. Media simile anche con le furie rosse: 4 gol in 39 presenze, di cui uno ai mondiali del 1986 contro la Danimarca.
La classifica silata dal Times ha “premiato” Goiko con il primo posto tra i giocatori più cattivi, seguito da Claudio Gentile; in una intervista, l'ex stopper italiano si indignò ironicamente e disse che si aspettava di essere il primo, mentre lo stesso Goikoetxea dichiarò, con il tipico humor basco, che « primeggiare in qualcosa é sempre difficile». Simona Marchetti sul Corriere della Sera invece lo ha messo al secondo posto dopo Hristo Stoichkov, nella classifica dedicata ai giocatori più fallosi e sempre in seconda posizione è finito anche sul Times, stavolta dopo Graheme Souness. Le classifiche si aggiornano ma Goiko non manca mai. Anche Furio Zara lo ha inserito nel suo libro “Gamba Tesa” (Rizzoli 2008). Spesso e volentieri sono state utilizzate soltanto parole sprezzanti per descriverlo, ignorando la sua carriera, il suo percorso, la sua persona; gli haters non fanno altro che screditarlo, anche se probabilmente poi sono gli stessi che richiedono sui campi di periferia falli gratuiti e brutali o si divertono a guardarli on-line. Solo chi ha giocato sui campi da calcio con lui, poi, l'ha veramente capito e perdonato. In una sua intervista al Mundo Deportivo, Goikoetxea disse che riuscì ad incontrare Maradona quando era un giocatore del Sevilla: «Fu piacevolissimo, parlammo di tutto: della famiglia, del calcio e anche di quell’intervento falloso. Diego non serbava rancore nei miei confronti e gli sono stato molto grato per essere riuscito a chiudere quel capitolo». Nato ad Alonsotegi il 23 maggio 1956, alto più di 180cm, mancino con un tiro dalla distanza notevole ma anche discretamente educato per il calcio anni ‘80, forte di testa e abile negli anticipi, durissimo nel corpo a corpo. Debuttò in prima squadra l’8 giugno 1975 in un derby contro la Real Sociedad, valido per i quarti di finale della Copa del Generalissimo ed esordì in Liga il 7 settembre dello stesso anno contro il Salamanca, siglando subito il suo primo gol nella massima divisione iberica. Sin da subito si rivela un giocatore fondamentale ed insostituibile per la difesa bilbaina, terminando la stagione con 27 presenze e 4 gol, un bottino eccellente per un difensore, peraltro esordiente.
Le successive tre stagioni furono più altalenanti: giocò infatti solo 36 partite tra campionato, Copa del Rey e Coppa UEFA, ma nel 1979 fu comunque convocato dalla Euskal Selekzioa, da poco rinata dopo che la dittatura Franchista aveva oppresso di ogni genere di espressione indipendentista. Dopo la pessima stagione 1978/79 che l'Athletic chiuse al nono posto, nella stagione 1979/80 Goiko trovò più continuità, ma la vera svolta avvenne nel 1981. In panchina si sedette un giovanissimo Javier Clemente e, un anno dopo, l’Athletic si laureò campione della Liga spagnola, bissando poi l’anno successivo. Goikoetxea era il leader emotivo di quella banda di sbarbati e contribuì con sei gol. Iniziò ad essere etichettato come giocatore duro, da cui gli attaccanti è meglio che stessero alla larga per non subire le sue entrate ruvide e vigorose, sempre al limite del cartellino giallo. Nel dicembre 1981 al San Mamés fu ospite il Barcellona. Al minuto 25, all'altezza della trequarti Schuster si spostò il pallone dal destro al sinistro e su di lui uscì a velocità supersonica Goiko, che con la gamba tesa gli entrò sul ginocchio. L’intervento fu pazzesco. Il biondo tedesco si rotolò a terra, tenendosi il ginocchio e verrà immediatamente sostituito. Impazzarono le prime polemiche, soprattutto sui quotidiani catalani. Alcune voci sostengono che quell'intervento non fu la vera causa dell'infortunio e che Schuster si trascinava problemi fisici fin dai tempi di Colonia e lo stesso Goiko sostenne questa tesi. Per la cronaca, l’arbitro dell’incontro, a due passi, fischiò fallo ma non sanzionò il giocatore basco. In ogni caso, Schuster rivedrà il campo solo otto mesi dopo.
in piedi: Zubizarreta, Goikoetxea, De Andrés De La Fuente, Urkiaga Liceranzu.
accovacciati: Dani, Sola, Noriega, Uturbi, Argote.
Gli interventi duri del gigante di Alonsotegi preoccupavano ormai qualsiasi attaccante della Liga, ma quel tipo di gioco all'epoca era piuttosto diffuso e lo si vedeva in parecchi altri giocatori come il già citato Gentile, Passarella, Breitner e via discorendo. Si arriva così al settembre 1983: i culé stanno passeggiando sui campioni in carica dell’Athletic per 2-0. La partita era parecchio tesa e, dopo quasi un’ora di gioco, Goikoetxea intervenne in scivolata su Maradona che, di spalle, non lo vide nemmeno arrivare; la caviglia dell’argentino si piegò in due per via della rottura del legamento. La partita terminò con un netto 4-0 in favore dei blaugrana, ma il risultato fu quello che meno si ricorda. Il resto è storia e pettegolezzo. Il Mundo Deportivo mise in prima pagina la foto di Maradona in bianco e nero, come se fosse stato ucciso, mancava il solo necrologio. Alcuni chiesero a gran voce l’esclusione del difensore dell’Athleitc dalla nazionale, ma il selezionatore Muñoz non cedette alle pressioni e fece giocare Goiko titolare nelle successive partite contro Olanda e Malta. Andoni in quel momento aveva 27 anni, era dunque nel pieno della maturità calcistica e la sua carriera si trovava ad un bivio. Era diventato padre da poco di una bambina ma il telefono continua a squillare tra squilibrati che lo minacciavano e richieste di interviste in serie; la pressione diventò insostenibile anche per un duro come lui. La commissione disciplinare si riunì e commutò a Goikoetxea una squalifica di 18 giornate, successivamente ridotte a 6, con lo stesso Goiko in lacrime durante la sua deposizione davanti la Comité de Competicion, causate in parte dalla situazione incandescente che gli bruciava attorno e per il resto dai sensi di colpa che lo attanagliavano per il fallo che costò l’infortunio a Maradona.
Ricevette in questo periodo il soprannome di “macellaio di Bilbao”, che purtroppo lo accompagnerà fino a fine carriera e pure oltre. Goiko successivamente dichiarerà che «l’intervento su Maradona non avrei dovuto commetterlo e solo l’unico responsabile. Un minuto prima Schuster mi fece un brutto fallo e l’arbitro non l’ammonì. Ero Molto incazzato e così feci questa entrata folle. Oggi sarei stato espulso. […] È difficile accettare che io oggi venga ricordato solo per quell’entrata. […] Sapevo di aver sbagliato, ma la reazione fu davvero eccessiva e ho avuto difficoltà a venirne fuori. […] I tifosi dell’Athletic e i miei compagni di squadra mi hanno tirato fuori da questo vortice. Dopo il fallo su Maradona giocammo contro il Lech Poznan in Coppa Campioni […] vincemmo 4-0 dopo aver perso l’andata in Polonia per 2-0 e segnai il primo gol. Alla fine, i miei compagni di squadra mi sollevarono sulle spalle e dagli spalti cantavano solo per me. Fu molto emozionante!».
La squalifica di Goikoetxea complicò non poco gli equilibri della squadra e i risultati ne risentirono. Al suo rientro, il gigante di Alonsotegi tornò a formare con Liceranzu una coppia di centrali fortissima e davvero difficile da superare, come per Serse e i persiani alle Termopili. Quell'anno la squadra non segnò tanto, ma l’Athletic si compattò sempre di più e andò poi a vincere il suo secondo campionato di fila, subendo solo 30 gol in tutta la stagione.
Oltre alla vittoria dell’ottavo campionato, l’Athletic si era anche qualificato per finale di Copa del Rey contro il solito Barcellona, con Maradona nel frattempo ristabilitosi dopo l’intervento. Luogo dell’incontro: Santiago Bernabeu, Madrid. Gli ingredienti c’erano tutti: «All’epoca il calcio spagnolo era duro. Noi baschi dominavamo, la rivalità con il Barça era forte e, in quei primi tempi di democrazia, entravano in gioco anche le rivendicazioni politiche e pulsioni autonomiste, frustrate per anni da Franco, di regioni che ancora oggi rivendicano la propria alterità in ogni campo». Calcio e politica si mescolarono insieme creando un clima decisamente carico di tensione. Sentimenti di autonomia che uniscono le due compagini e i due popoli, ma che poi vogliono dimostrare la propria supremazia sul campo.
La partita è oggettivamente brutta e nervosa, Maradona era da poco rientrato in campo, ma era in rotta con società e con gli occhi iniettati di sangue per quell'intervento di Goikoetxea che avrebbe potuto stroncargli la carriera. Almeno in questo caso, difficile dargli torto. Il gol al 14’ di Endika modificò i piani gara delle due squadre, con il Barça costretto ad attaccare e l’Athletic compatto a difendere il risultato. Il trattamento che la difesa basca riservò all’argentino e alla sua gang fu tutt’altro che compassionevole; dopo un contatto in area di rigore con Nuñez, Maradona finì a terra e lo stesso Nuñez, Goiko e De Andrés lo invitarono ad alzarsi con garbo e modi tipici dei salotti di alta borghesia. Dagli spalti piovve di tutto, ma senza che il cielo emettesse una goccia d’acqua. Al fischio finale dell’arbitro, più che strette di mano i calciatori si scambiarono i tacchetti. Le immagini TV inquadrano soprattutto il catalano Clos scalciare ripetutamente nelle schiene degli avversari. Ma i più caldi nell'immediato post-partita furono nuovamente Maradona e Goikoetxea, immortalati nella foto del calcio di Andoni al Pibe de oro che fa il giro del mondo, nonostante lo stesso argentino non si risparmiò affatto, colpendo diversi avversari e uscendo poi con la maglia a brandelli. Sul campo entrarono, oltre ai vari componenti delle panchine, anche tifosi bilbaini scesi per festeggiare lo storico doblete. Dopo aver sollevato la coppa, Goikoetxea dichiarò: «È stato come un orgasmo. Non tanto per il risultato, quanto per aver sapuro ruggire come dei leoni nel momento di maggior difficolta’!».
Da lì in poi la storia di Maradona cambiò: come ben sappiamo, si trasferì a Napoli e lì diventerà l’icona calcistica che tutti gli appassionati di calcio e non, conosceranno. Per Goikoetxea invece continueranno le critiche e gli insulti: ormai su qualsiasi campo è il nemico numero uno dichiarato. Anche gli arbitri cambieranno un po’ il giudizio su di lui, tant’è che, statisticamente, il numero di ammonizioni aumentò dal 1984. Ciò nonostante, venne selezionato per i campionati Europei del 1984 e per i Mondiali del 1986. Nell’estate del 1987 si trasferì all’Atletico de Madrid, senza però trovare continuità e così decise di ritirarsi tre anni più tardi. Il suo palmarés recita: due Liga, una Copa del Rey, una Supercoppa spagnola e l'argento all'Europeo del 1984.
Più che appendere gli scarpini al chiodo, Goikoetxea le mise dentro una teca. Le leggende che lo riguardano infatti si moltiplicano: la più assurda è sicuramente quella secondo la quale Goiko ha una collezione degli scarpini di tutte le sue “vittime”. Interrogato a riguardo, dichiarò di tenere solo gli scarpini del fallo su Maradona, ma non come una reliquia di cui andare fiero: «qualcuno pena che li tenga qui perché sono un pazzo, un criminale. Ma e’ il contrario. Quegli scarpini simboleggiano il meglio e il peggio del calcio, gli altri e bassi della mia carriera. Li ho indossati due volte: contro Maradona e contrro il Lech Poznan. È come se fossero un’opera d’arte. Simboleggiano la massima tristezza per l’infortunio causato a Diego e il riscatto di pochi giorni dopo: la gioia del traguardo, la vittoria e il sogno del mio popolo. Per questo li conservo».
Dopo il ritiro iniziò la carriera di allenatore, prima come vice di Javier Clemente con la nazionale spagnola, durante il campionato del mondo di USA 1994 e poi con la Under 21, arrivando terzo nel campionato Europeo di categoria, con una rosa che comprendeva diversi titolari dell'Athletic come Mikel Lasa, Juanjo Valencia, Aitor Karanka e Julen Guerrero. Successivamente allenerà perlopiù squadre di Segunda División, con l’acuto della promozione in Liga ottenuta nel 1997 alla guida del Salamanca. Allenerà per vent’anni, concludendo con un’esperienza esotica alla guida della nazionale della Guinea Equatoriale tra il 2013 e 2015, per poi fermarsi definitivamente.
p> Nel 2011, il giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio pensò di intervistare Goikoetxea e così contattò Simone Bertelegni, socio fondatore della peña Leones Italianos e autore del libro “Athletic Club de Bilbao: l’utopia continua”. Simone chiese a Goiko il permesso di poter dare il suo numero di telefono al giornalista e dove preferisse incontrarlo e Andoni rispose: «se questo signore fa la fatica di viaggiare dall’Italia a Bilbao per parlare con me, il minimo che io possa fare è andare a farmi intervistare dove gli risultera’ piu’ comodo».
Per il tifoso medio(cre) di calcio, Andoni Goikoetxea rimarrà sempre il calciatore che ha rotto una gamba a Maradona. Per il popolo basco e per i suoi tifosi, invece sarà sempre e solo “el gigante de Alonsotegi”. Autore: Lodovico Monoli Fonti - Simone Bertelegni “L’utopia calcistica dell’Athletic Bilbao” – Mundo Deportivo – Corriere della Sera – Barbadillo.it - quattrotretre.it – uefa.com – fifa.com