JOSÉ ANGEL IRIBAR KORTAJARENA

L'Angelo volante


L'articolo e' stato pubblicato sulla pagina FB Euskal Futbola - il Calcio Basco il 13 marzo 2024


Chiunque si professi tifoso dell'Athletic e gli sia capitato di transitare tra Bilbao e Lezama, deve assolutamente avere una foto con lui o, quantomeno, avergli stretto la mano.

José Angel Iribar Kortajarena nasce il 1° marzo 1943 a Zarauz, piccolo paese in Guipuzcoa, in riva al mare nel golfo di Biscaglia. Si innamorò presto del pallone e le sue partite da piccolo si disputavano sulla spiaggia a pochi passi dalla sua casa. A dodici anni iniziò a giocare a calcio nelle varie società locali: Salleko, Los Antonianos e poi nel Zarauz.

In una intervista al quotidiano AS dichiarò: «Non avevo molta aspirazione, non pensavo di arrivare a tanto. Il mio sogno era giocare nella squadra della mia città». Per fortuna non andrà così! La piccola faida familiare che vedeva zio e papà propensi a fargli continuare la carriera calcistica e la madre più propensa verso gli studi, terminò con un piccolo compromesso: Iribar avrebbe sì portato avanti gli studi, ma senza rinunciare al calcio.



Nel 1961, a soli 18 anni divese a Basauri la porta del Basconia, che all’epoca militava in seconda divisione e non era ancora una filiale dell’Athletic. Si fece notare soprattutto durante l'allora Copa del Generalisimo, quando il Basconia eliminò al primo turno nientemeno che l’Atletico de Madrid, detentore del trofeo. Le sue prestazioni gli valsero il concreto interesse di varie squadre di prima fascia, tra cui Barcelona, Valencia e lo stesso Atletico Madrid. Suo padre Marcelino, accanito fan degli zurigorri, ne parlò con l’Athletic, che decise di versare l’intera clausola rescissoria di un milione di pesetas (circa 6mila euro odierni) al Basconia; una cifra record per l'epoca e Iribar arrivò dunque a Bilbao nel 1962.


In quel periodo a difender la porta dei leoni biancorossi c’era “il muro”, Carmelo Cedrún: autentico idolo della tifoseria, titolare ininterrottamente dal 1951 e portiere della nazionale spagnola. Iribar raccontò che da piccolo incontrai Carmelo alla caffetteria Otamendi di Zarautz, «lo riconobbi ma non ebbi il coraggio di dirgli nulla. Quando firmai per l’Athletic, fu molto emozionante essere vicino ad uno dei miei idoli». Il dualismo tra i due portieroni iniziò praticamente subito, ma il più giovane dei due vide il campo appena tre volte durante la prima annata. La terza e ultima partita fu contro il Real Madrid a San Mamés, decisa da un rigore trasformato dal campionissimo magiaro Ferenc Puskás. Nell'occasione, Iribar urlò all’ungherese «calcialo fuori, sennò da qui non esci» e, dopo aver segnato, Puskás gli rispose malizioso «ragazzo, hai tanto da imparare». Di sicuro già all'ora non mancava certo di personalità!


Tra gli aneddoti raccontati da Iribar riguardanti il suo primo anno a Bilbao, è curioso quello sull’accoglienza ricevuta in spogliatoio: «quando entrammo nello spogliantoio la prima volta, eravamo disorientati e un po’ timorosi; i componenti della squadra non ci salutarono nemmeno e qualcuno mi indicò un posto dove sedermi. Obbedii ma notai qualcosa di strano. Iniziai cambiarmi ed Eneko Arieta, titolare da molti anni arrivò e mi disse “chi sei, ragazzo? Quel posto è mio! Avevo proprio bisogno di un pivello come te che mi portasse via il mio posto”. Abbassai la testa, presi i miei vestiti e cercai un altro posto, sperano che non fosse già prenotato da altri, tra le risate di compagni. Successivamente lo feci anche io: era abbastanza comune fare questi scherzi innocui ai novellini, faceva gruppo e testavi i ragazzi appena arrivati, per capire di che pasta fossero fatti».



Nella stagione 1963/64, Iribar divenne titolare dalla quinta giornata contro il Valencia, a causa dell'infortunio di Cedrún e, da quel momento, i ruoli si invertirono definitivamente. L'anno successivo l'ex portiere titolare si trasferì all'Espanyol, mentre Iribar debuttò con la selezione spagnola in una partita di qualificazione agli Europei del 1964, in una vittoria contro l’Irlanda a Sevilla per 5-1. La Spagna vinse poi quell'Europeo battendo in finale l'URSS 2-1, con Iribar protagonista in negativo in occasione del gol sovietico e impegniato in una sfida a distanza con il suo dirimpettaio e idolo d’infanzia: Lev Yashin, il “ragno nero”. Iribar disse infatti: «era il giocatore piu’ forte e famoso del mondo, giocavo con una divisa scura per imitarlo. Dopo la finale dell’Europeo non ebbi il coraggio di chiedergli la maglia, ma per fortuna Paquito (Gento?) osò farlo per me e Yashin acconsentì. La tengo ancora a casa mia come una reliquia, in una teca». Iribar venne soprannominato sia sia “Txopo” (castiglianizzato “Chopo”), ossia pioppo che “angelo volante”, per la sua figura alta, snella ed imponente: 184cm di agilità e atletismo. Poco spettacolare ma sicuro tra i pali e pochi se non nessun punto debole, era anche in grado di rilanciare con le mani fino a 50 metri, caratteristica che portava enormi benefici per i veloci contropiedi dei baschi. “Iribar e altri dieci” divenne la risposta tipica tra tifosi a chi chiedeva della formazione di giornata e fu creato un coro in suo onore: : “: “¡Iribar, Iribar, Iribar es cojonudo; como Iribar no hay ninguno!”.



Iribiar fu, tra le altre cose, anche un innovatore in fatto di guanti: mentre quasi tutti i suoi colleghi utilizzavano ancora quelli in lana o addirittura paravano a mani nude, il pioppo copiò il mitico portiere inglese Gordon Banks durante una trasferta in Inghilterra, procurandosene poi un paio appositamente da portiere. La stagione 1968/69 portò finalmente in dote il primo trofeo nella lunga carriera di Iribar: l’Athletic allenato da un'altra leggenda come Rafa Irondo arrivò in finale di Copa del Generalisimo contro l’Elche. Il Txopo non permise a nessuno di violare la sua porta e il match terminò 1-0 per gli zurigorri, grazie alla rete decisiva di Arieta II su assist del giovanissimo Javier Clemente.


Finale Copa del Generalissimo - Santiago Bernabeu 15.06.1969

Iribar, Saéz, Etxebarria, Aranguren, Igartua, Larrauri

Argoitia, Uriarte, Arieta II, Clemente e Rojo


L'anno seguente in panchina arrivò Ronnie Allen e l’Athletic sfiorò un clamoroso titolo in Liga. Alla terzultima giornata infatti le reti di Arieta II e Uriarte misero KO l'Atletico Madrid, con contestuale sorpasso in classifica. Purtroppo l'Athletic cadde il weekend successivo a Valencia e a nulla servì la vittoria casalinga contro il Celta Vigo nell'ultimo atto. Iribar ottenne quantomeno un riconoscimento personale aggiudicandosi il trofeo Zamora, assegnato al portiere meno battuto in Liga.


Purtroppo fu un’occasione unica per Iribar, che chiuderà la sua quasi ventennale carriera in zurigorri senza riuscire a vincere il titolo in Liga. Nel 1972/73 arrivò pero’ il bis in Copa: allenato stavolta dal serbo Milorad Pavić, l'Athletic vinse la finale contro il sorprendente Castellón, grazie ai gol di Zubiaga e del solito Arieta II.


Il 1973 non fu certo un anno qualsiasi: Iribar fu colpito da una violentissima febbre tifoide, che gli provocò gravi emorragie; molti tifosi si recarono spontaneamente all’ospedale dove era ricoverato per donare sangue. Inoltre, a giugno, l’Athletic poté finalmente a sfoggiare il suo nome autentico, brutalmente castiglianizzato in Atletico durante gli anni della dittatura franchista. Nel 1975, la cittadina asturiana di Mieres gli intitolò una via, "la calle Iribar"; fu lo stesso portiere a inaugurarla, sfruttando una trasferta al Molinon di Gijon.



Il 5 dicembre del 1976, Jose’ Ángel Iribar e il capitano della Real Sociedad, Inaxio Kortabarria, davanti ai ventimila spettatori presenti allo stadio Atocha di San Sebastian, uscirono dagli spogliatoi brandendo assieme una Ikurriña, preceduti dall’inno basco “Eusko Guradiak” (guerrieri baschi). Fu Kortabarria, poco prima dell’incontro, a parlare in privato con Iribar per proporgli quel gesto che divenne celebre e iconico. Prima di accettare, Txopo sottopose l'idea al resto dei compagni, che diedero il proprio assenso. Pare sia stata la sorella del calciatore errealista Uranga, detto Trotsky, a cusire personalemnte quella ikurriña, introdotta poi non si sa bene come all'interno dello stadio, senza che le guardie se ne accorgessero. Un evento che sicuramente contribuì ad acellerare i tempi per la caduta dello schifoso regime franchista; tant’è che, un mese dopo, il governo spagnolo di Adolfo Suarez legalizzò l’Ikurriña e l'8 agosto 1977, con imponenti cerimonie, essa venne issata sul San Mamés. A riguardo, Simone Bertelegni ha dichiarato: “resto dell’idea che, senza Franco, l’esigenza di issare una Ikurriña su uno stadio sarebbe stata sentita come secondara, non meritevole di eccessive cerimonie”.


Iribar passò dall'essere un campione di calcio, popolarissimo e capitano di una delle squadre più illustri, ad essere un mito assoluto anche fuori dal campo. Spesso di poche parole, capì che la sua voce poteva essere uno stimolo in più per il suo popolo e appoggiò apertamente la sinistra abertzale in più occasioni. Tale appoggio fu dettato, oltre che dai fatti bellici e post-bellici nei Paesi Baschi e nella Spagna, anche dall’uccisione -mediante pena di morte- di alcuni membri dell’ETA e suoi compaesani di Zarautz, nel 1975. Nel 1978 si candidò per un posto nel Consiglio nazionale con la coalizione Herri Batasuna, senza però essere eletto.


Nella stagione 76/77 l’Athletic guidato da Koldo Aguirre raggiunse ben due finali. In Copa del Rey, contro il Real Betis, dopo l'1-1 maturato nei tempi regolamentari e il 2-2 al termine dei 120', la lotteria dei rigori proseguì in perfetta parità fino all'ottavo tentativo, dove fu proprio Iribar, nell’insolita veste di attaccante, a fallire la trasformazione e a consegnare il trofeo agli andalusi.


Due mesi prima, il 4 e il 18 di maggio, l’Athletic giocò la finale di Coppa UEFA. Di fronte, la Juventus guidata da Giovanni Trapattoni, anch'essa alla ricerca del primo successo continentale come i rojiblancos e formata all'epoca da 11 italiani.

Dopo la sfida contro Yashin del 1964, Iribar incontrò così un altro portiere leggendario come Dino Zoff, coi due che presentavano peraltro fattezze fisiche tanto simili da farli sembrare gemelli separati dalla nascita. Tra i due nacque anche una sincera amicizia.


Finale Copa UEFA - San Mames 15.06.1969

Iríbar, Astrain, Alexanco, Villar, Escalza, Lasa e Zaldúa

Carlos, Dani, Irureta, Amorrortu, Gisasola, Churruca e Rojo I.


La partita d’andata giocata a Torino fu decisa da un gol di Tardelli di testa/spalla, con la palla che si alzò a campanile e s’infilò sul secondo palo, con Iribar inutilmente proteso in tuffo. Il ritorno a San Mamés fu incredibile: Bettega con un preciso colpo di testa trafisse l'incolpevole portiere biancorosso, dopodiché i baschi iniziarono ad intensificare i loro attacchi, sospinti dallo stadio più caldo d’Europa. La rimonta in effetti ci fu, grazie alle reti di Xabi Irureta nel primo tempo e Carlos a 12 minuti dalla fine, ma furono i bianconeri ad alzare il trofeo in virtù della vecchia regola dei gol in trasferta. Zoff salvò i suoi a più riprese e, dopo la rete di Carlos, chiese al Trap quanto mancasse alla fine. A sentire “ancora 12 minuti!”, l'estremo difensore fece un palese gesto di disapprovazione. Al termine della contesa, il pubblico del San Mamés si alzò in piedi ad applaudire i suoi beniamini ma anche i vincitori che, increduli, fecero il giro di campo con la Coppa in segno di rispetto, mentre Zoff indossava la maglia di Iribar.


Il 16 agosto 1979, durante la 𝑠𝑒𝑚𝑎𝑛𝑎 𝑔𝑟𝑎𝑛𝑑𝑒 di Bilbao, Iribar scese in campo al San Mamés da capitano contro l’Irlanda in occasione dell ritorno della Euskal Selezkioa, la nazionale basca che era stata istituita durante la guerra civile spagnola, per recuperare soldi da donare ai più bisognosi in tutta Euskal Herria. Si ritirò al termine della stagione 1979/80, nella quale ricoprì il posto di dodicesimo alle spalle di Agirreoa, dopo 18 stagioni e 614 partite giocate solo per l’Athletic Club de Bilbao, record tutt’ora imbattuto. Il 30 maggio dello stesso anno fu giocata la sua partita d’addio, con Iribar che per congedarsi scelse non a caso la Real Sociedad. Il ricavato (circa 18000 pesetas) fu devoluto per la promozione e la divulgazione della lingua basca.


Riguardo la sua incredibile longevità sul rettangolo verde, Iribar ha dichiarato che: «è importante essere autocritici e cercare di migliorarsi ogni giorno. Puoi avere qualità ma devi perfezionarle, ascoltare le critiche che i tuoi compagni di squadra e allenatore possono farti».


Nonostante il ritiro, il suo carisma e la sua personalità erano ancora importanti per la città di Bilbao, la sua gente e la sua squadra. Il Txopo indossò quindi tuta e fischietto ed iniziò a lavorare con le giovanili dell’Athletic, in qualità di preparatore dei portieri. Nel 1986 fu promosso capo allenatore, ma la stagione non fu certo memorabile: il nono posto in Liga costrinse infatti l'Athletic a disputare un playout per evitare la retrocessione, fortunatamente vinto. Non fu peraltro la sua unica esperienza in panchina: nel 1993 divenne infatti commissario tecnico della Euskal Selekzioa, che guidò fino al 2011.


Nel 2016 fu gli fu riconosciuta l'onorificenza “illustre de Bilbao”, riconoscimento dedicato a quelle persone o entità (lo stesso Athletic Club lo ricevette nel 2012) che hanno dato lustro alla città, mentre nel 2022 gli è stato intitolato il complesso dedicato alla residenza dei giocatori, all'interno del centro sportivo di Lezama. Più di recente, nel dicembre 2023, Iribar è stato omaggiato dall'Athletic con una statua posta nelle immediate vicinanze del San Mamés. Il Txopo è la terza leggenda a ricevere tale onore, dopo Pichichi e Telmo Zarra.



Ancora adesso Iribar, con semplicità e cortesia, si ferma spessissimo a scambiare due parole e scattare le foto con i tifosi. Personalmente ho avuto la fortuna di incontrarlo in occasione di una trasferta a Breslavia, per un torneo amichevole organizzato dallo Sląsk di Wrocław e più recentemente a Bilbao, poiché era ospite alla festa del ventennale della Peña "Italiako Lehoiak - Leones Italianos". Nel 2023, la Peña fu ospite sul palco d’onore con i soci Francesco Scordamaglia e Simone Bertelegni. Durante il prepartita, nella sala degli eventi, Iribar li vide e gridò “Simone!”, facendosi largo per andarli a salutare e scambiare quattro chiacchiere.


Chiudo con un'ultima sua citazione: «quando lasci il calcio, la gente tende a mitizzare le cose. Esageriano sempre un po’, io cerco di non dargli piu’ importanza di quanta ne abbia […]. La cosa migliore che di solito mi capita quando scendo per strada è che la gente mi riconosca e mi dice di essere orgogliosa di avermi visto giocare per la loro squadra, la loro città, il loro paese. Ho giocato anche per questo!».


Autore: Lodovico Monoli

Fonti - Simone Bertelegni “L’utopia calcistica dell’Athletic Bilbao” – AS.com: intervista di Alfonso Herran – mundodeportivo.com – uefa.com – storiedicalcio – ilnobilecalcio.it - nortexpress